CHIESA E CONVENTO DI SANT’ANTONIO DI PADOVA

Risale agli inizi del XVII secolo insieme con l’attiguo convento, con cui forma un unico corpo. Costruiti tra il 1624 e il 1628, furono la sede dei Padri Riformati, frati della famiglia francescana. L’origine risale alla delibera da parte dell’Università di Minervino (ossia il Comune) di chiamare la comunità religiosa, che restò nel convento fino alla fine del 1866, a causa delle soppressioni decretate dallo Stato, il quale cedette il convento al Comune. Nell’insieme, la chiesa ha assunto la sua forma attuale nel Settecento, tramite aggiunte di stucchi (della seconda metà del secolo) e di parti strutturali (probabilmente le quattro cappelle laterali).
La facciata della chiesa appare semplice, con due paraste che reggono un timpano triangolare. Al centro un’ampia finestra, con vetrata policroma raffigurante S. Antonio di Padova, di epoca recente. All’interno, invece, la chiesa stupisce per la ricchezza dell’insieme, in stile barocco. È ad unica navata, divisa in tre campate con volta a stella. La quarta campata, più alta, sempre con volta a stella, sovrasta il presbiterio. Sul lato sinistro vi sono degli altari, sul lato destro tre cappelle con volta a botte comunicanti fra loro, tanto da dare quasi l’impressione di una seconda navata; una quarta cappella, sempre con la volta a botte, ma in posizione frontale, chiude la serie, e presenta sul fondo l’altare di San Pasquale.
Nella chiesa trovano collocazione sia diverse statue (S. Antonio di Padova, Cristo Morto, S. Pasquale e alte più recenti nel coro retrostante l’altare: Santa Rita, San Pio da Pietrelcina, San Luigi, la Madonna Addolorata, una statua della Vergine riadattata, che in origine era S. Filomena), sia alcune tele (tra cui la Madonna Addolorata, la Sacra Famiglia, San Francesco che riceve le stimmate e San Francesco che riceve l’indulgenza di Assisi). Nella chiesa si celebra l’eucaristia più volte l’anno, soprattutto (ma non solo) nelle ricorrenze di Sant’Antonio: il 15 febbraio, il 13 giugno e nei giorni immediatamente precedenti il 15 agosto, quelli della solenne festa patronale.
La chiesa è stata interessata per alcuni anni da un imponente restauro diretto dalla Soprintendenza di Lecce e finanziato dal Fondo Edifici Culto (ente del Ministero degli Interni, cui la chiesa appartiene, mentre la custodia della stessa è affidata ufficialmente alla Parrocchia di Minervino dal 2 marzo 2011), e riaperta al culto il 12 giugno 2019. Il restauro ha portato alla luce una straordinaria policromia, occultata da secoli da vernice bianca, nonché diverse sepolture.

IL CONVENTO

Adiacente alla Chiesa vi è il convento, con il suo elegante loggiato e i tratti tipici dell’essenzialità francescana. Conserva frammenti di affreschi (i maggiori: Sant’Antonio che predica ai pesci nel chiostro, e L’ultima cena in quello che doveva essere il refettorio con volta a botte). Dall’ingresso, posto accanto alla porta della chiesa, si accede ad un piccolo chiostro quadrato, con arcate a tutto sesto, due per lato, con al centro, inglobata in una vera da pozzo, la cisterna.
Al piano terra, spazi ampi per le attività comuni (tra cui il refettorio, un grande focolare, la lavanderia). Al primo piano, ambienti più spaziosi, stretti corridoi e le piccole celle dei frati dalla copertura a botte, alcune delle quali con frammenti di affreschi e con le antiche porte in legno.
Colpito dal terremoto del 1743 che provocò il crollo di alcune coperture, a fine Ottocento, dopo l’unità d’Italia, passò allo Stato; ha ospitato per circa un secolo la sede del Comune, fino alla fine del 1993, quando fu ultimato il nuovo palazzo municipale. Il convento è di proprietà del Comune di Minervino ed è stato interessato da poderosi lavori di restauro terminati agli inizi degli anni 2000.

CHIESA DELLA MADONNA DELLA SANTA CROCE

Popolarmente individuata come chiesa di Santa Croce, in realtà è dedicata alla Madonna della Santa Croce. Situata sulla vecchia strada che giunge a Otranto, in una zona dove da tempi remoti fino a pochi decenni fa, la prima domenica di luglio, si teneva una importante fiera (oggi trasferita in paese).
L’edificio, ben orientato verso est, ci racconta di sé attraverso la sua architettura e le sue pitture (restaurate tra 1991 e 1997), testimoni di più epoche.
Originariamente la chiesa, di impianto trecentesco, era un’unica aula liturgica con abside tondo (oggi visibile solo dall’esterno). Nel Seicento un intervento consistente porta a costruire la volta in sostituzione del tetto a capriate, e per questo si rafforzano le mura poggiandovi internamente delle arcate, che interrompono la serie degli affreschi e in parte li coprono irrimediabilmente. Esternamente, è realizzato il portale sormontato da una finestra con grata in pietra leccese; per contenere la spinta delle volte, esternamente sul lato destro della chiesa sono costruiti dei contrafforti ad arcate, sul lato sinistro sono poggiate due arcate a tutto sesto. Ancora, vengono chiuse le finestre (ancora visibili dall’esterno), murata la porta laterale sinistra, costruito il transetto che fa risultare la pianta a croce latina. Viene aggiunto l’altare maggiore in pietra leccese, di pregevole fattura, ad opera dello sculture Ambrogio Martinelli di Copertino, autografo e datato 1650. Nell’altare, al centro, è collocato il grande ovale con il delicato affresco della Vergine con Bambino (di fine XIV inizi XV secolo), Maria ha la mela in mano e il Bambino un abito giallo, orientale, finemente ricamato; ben leggibili le scritte (con le classiche abbreviazioni) in latino e in greco: Mater Domini, in latino, Iesús Christós in greco, ad attestare la compresenza del rito greco e di quello latino.
In alto rispetto all’altare centrale, campeggia la scritta Eleemosynis piorum 1506, ad indicare la costruzione ad opera delle offerte della gente (la data si riferisce probabilmente ad una riedificazione). Ai lati dell’altare, le statue in pietra di San Gioacchino e di Sant’Anna. Più tardi vennero costruiti, sempre in pietra leccese, gli altari del transetto, a destra di San Gaetano, a sinistra di Sant’Antonio Abate.
Gli affreschi, in buona parte ancora oggi visibili, vanno dal periodo bizantino (fine XIII inizi XIV secolo) a fine XV secolo.
Sulla parete destra, gli affreschi di una Madonna della mela, con molte incisioni lasciate nel tempo dai pellegrini; poi un dittico con San Pietro e San Francesco d’Assisi, questo quasi del tutto perduto, quindi probabilmente Sant’Eligio; Mosè con il bastone in mano che tende l’orecchio per ascoltare la voce di Dio; una Madonna che allatta.
Gli affreschi principali della parete sinistra: la Vergine Annunziata; una Coppia di Santi, forse Francesco e Chiara d’Assisi; un probabile San Michele Arcangelo; Santa Caterina d’Alessandria, quasi del tutto nascosta, riconoscibile dalla ruota dentata, strumento del suo supplizio; infine, la Ruota della Fortuna, affresco molto raro nel Salento, che ritrae lo stesso personaggio regale, che ora è all’apice, ora cade, ad indicare la caducità e la provvisorietà della vita.
Ancora, sulla parete sinistra, il Ciclo di affreschi sulla Pasqua di Cristo (fine XV secolo), con le scene pesantemente interrotte dai pilastri: L’ultima cena, frammento di probabile Lavanda dei piedi, la Preghiera nel Getsemani, il Rimprovero ai discepoli addormentati, la Salita al Calvario, la Crocifissione, il frammento dello Spezzare le gambe agli altri due condannati, la Deposizione dalla croce, la Deposizione nel sepolcro.

Nella chiesa si trova la statua della Madonna della Santa Croce. L’Eucaristia si celebra tutti i sabati del mese di maggio.
La popolazione chiede che vi si celebri per invocare un tempo favorevole (la pioggia in tempo di siccità, oppure la sua fine se è eccessiva).

CHIESA DELLA MADONNA IMMACOLATA

Orientata ad est, la chiesa è intitolata alla Madonna Immacolata, ma dalla gente è detta anche di Santa Lucia. La data di fondazione non è nota; tuttavia, in base alle fonti e all’epigrafe che si legge sull’architrave del portale, si può affermare l’esistenza di una chiesa precedente, iniziata a fine XVI secolo e poi andata distrutta; l’edificio attuale fu costruito in seguito, tra fine XVII e inizi XVIII secolo, grazie alle “pie elemosine”, cioè alle offerte della gente e dei confratelli (la chiesa è sede della Confraternita dell’Immacolata). L’epigrafe, in alcune parti degradata, consente comunque (con congetture quasi certe) di leggere l’iscrizione, la cui trascrizione è la seguente:

D O M
UT PUBLICA VOTA ADIMPLERENTUR VETERI DESTRUCTO, NOVUM HOC TEMPLUM IN HONOREM B. VIRGINIS M. SINE LABE CONCEPTAE FUIT A FUNDAMENTIS ELEGANTIORI FORMA CONFRATRUM ET PIORUM ELEMOSYNIS CONSTRUCTUM
A . D . M D C C X V I I

che vuol dire:

A Dio Ottimo e Massimo
Affinché fosse soddisfatto il comune desiderio, essendo andato distrutto il vecchio, in onore della Beata Vergine Maria concepita senza peccato, fu edificato dalle fondamenta questo nuovo tempio, in forma più elegante, con le offerte dei confratelli e dei fedeli,
nell’anno del Signore 1717

La struttura ha un’impostazione architettonica tardorinascimentale. La facciata si presenta con un portale sormontato da un architrave con l’epigrafe. Al centro, sotto il finestrone a grata in pietra leccese, spicca un ovale a bassorilievo raffigurante la Madonna Immacolata. Sulla parte retrostante è posto un piccolo campanile a vela ornato lateralmente con foglie di acanto.
L’interno ha un’unica navata con volta a crociera. Sulle pareti sono presenti dei tondi con pitturazioni a tempera raffiguranti la vita di Maria. Tali tempere, realizzate negli anni ‘50, di modesta fattura ma di importante valore documentale, riprendono l’iconografia originaria, su tela, dispersa o trafugata. Rimane una sola tela originaria che rappresenta la nascita di Maria (databile al XVII secolo). Le scene descrivono in successione la vicenda di Maria. La lettura deve iniziare dalla grande tela dell’altare maggiore, raffigurante l’Immacolata Concezione della Vergine (di fine XIX secolo, circondata da angeli e testine alate); poi, scorrendo verso sinistra abbiamo i tondi: la Nascita (su tela, come si è detto), la Presentazione di Maria al tempio, l’Annunciazione, la Visitazione a S. Elisabetta, la Natività, l’Assunzione.
Nel ricco altare lapideo del XVIII secolo spicca un tondo (ridipinto) con al centro l’originalissima Fuga in barca in Egitto della Sacra Famiglia; poi vi troviamo, a sinistra, le statue di Santa Irene e San Giuseppe col Bambino e, a destra, Santa Barbara e Sant’Anna. L’altare termina con al centro un ovale tra due angeli con l’iscrizione Tota pulchra es Maria (cioè: Tutta bella sei, Maria). In alto a sinistra vi è la cantoria.
Nella chiesa vi sono inoltre due statue in pietra di pregevolissima fattura, S. Michele Arcangelo e Santa Lucia (ridipinte) e, ancora, le statue della Madonna Immacolata, di Cristo Morto, dei Santi Medici Cosma e Damiano, di Santa Lucia.
La chiesa è stata interessata dal 2011 al 2014 da un poderoso restauro che ha riguardato l’intero edificio (esterno, interno, volte, pavimento, sacrestia, sacrato, infissi, impianto elettrico) opere d’arte escluse.

Nella chiesa si svolge la novena dell’Immacolata e vi si celebra l’Eucaristia. Si celebra anche il giorno di Santa Lucia (13 dicembre) e il giorno dei Santi Medici (26 settembre). Il Venerdì Santo da qui esce la statua del Cristo Morto per la processione.

CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

Molto caratteristica, semi ipogea, risale al Seicento. L’ingresso è sul piano stradale. La facciata esterna è sobria, con una cornice dentellata che percorre tutto il perimetro murario. Al centro della facciata una finestra con grata in pietra leccese, recante un ovale con la Vergine Annunziata. Sulla facciata da notare ancora un angelo orante e un piccolo campanile, nonché due iscrizioni, una molto consumata, un’altra ancora in parte leggibile.
Varcando la soglia, si accede alla chiesa a navata unica. Scendendo la scalinata, si arriva all’altare in pietra, finemente decorato, collocato sulla parete di fondo. Sui lati ha due leoni e al centro una finestrella con cornice, che racchiude una pietra, su cui un tempo doveva essere impressa una immagine sacra della Vergine
E proprio al rinvenimento di una immagine della Madonna delle Grazie viene fatta risalire la costruzione della chiesa, come è riportato nella Visita pastorale di Mons. Vincenzo Grande del 1837-38.
Al centro, più in alto rispetto alla corona della Vergine, un’iscrizione e una data attestano che la chiesa (meno probabile che la scritta si riferisca al solo altare) fu realizzata nel 1680 da Giovan Battista De Bellis di Muro Leccese; questa la scritta:

A M D G
TAM PULCHRUM QUI STRUXIT OPUS BAPTISTA VOCATUR
DE BELLIS PULCRA EX NOMINE GESTA PARIT
1680

che vuol dire:

Per la maggior gloria di Dio.
Colui che ha costruito quest’opera così bella si chiama Battista de Bellis,
che crea opere belle come il suo nome
1680

Quattro colonne tortili sormontano l’altare. Ai loro lati le statue in pietra di San Paolo a destra e San Pietro a sinistra. Al centro una tela ad olio, racchiusa da cornice in pietra, raffigurante Maria col Bambino e San Giovanni Battista; entrambi gli infanti non sono neonati, ma già un po’ cresciuti.
Ai lati della tela, in quattro nicchie, le statue in pietra di quattro santi vescovi: sulla destra in basso San Fortunato, in alto Sant’Ippazio; sulla sinistra in basso Sant’Oronzo, in alto San Nicolò. L’altare continua e termina, in alto, con la statua in pietra della Madonna sormontata da due angeli che la incoronano; ai lati si trovano le statue delle martiri Sant’Apollonia sulla destra e Sant’Agata sulla sinistra e motivi floreali. Caratteristico anche il cielo a volta, con dipinte le forme dei mattoni. Due delle tre chiavi di volta recano iscrizioni: una riporta l’anno di costruzione (1680), l’altra è incisa fra due chiavi e informa che fu edificata con le offerte dei fedeli (elemosynis piorum).
In una teca in legno, sul lato sinistro, è custodita la statua in cartapesta della Madonna delle Grazie, del XX secolo, del famoso cartapestaio Luigi Guacci di Lecce, restaurata nel 2020.

In questa chiesa si celebra l’Eucaristia l’8 settembre, festa della Natività di Maria, e il primo maggio, in apertura del mese dedicato alla Vergine Santa. Fino alla metà circa del secolo scorso in questa data la chiesa era visitata da numerosi pellegrini provenienti dai paese del circondario, devoti alla Madonna delle Grazie, poiché proprio nel primo giorno di maggio si svolgeva una grande festa a lei dedicata.

CHIESA DI SAN PIETRO

Poche notizie si hanno a disposizione a suo riguardo. Posta al centro dell’omonima piazza, la chiesa oggi si presenta molto lineare e spoglia; la sua esistenza è attestata fin dalla Visita pastorale del 1522. Dalla Visita pastorale del 1607-08 ricaviamo poi la notizia che era tutta affrescata e aveva una grande icona sul suo unico altare.
Sulle serraglie degli archi della campata centrale è incisa la data: AD 1765.
La chiesa fu ricostruita a fine Settecento, ma in seguito la ritroviamo disadorna, senza porte e arredamento (Visita pastorale del 1834). Resa in seguito praticabile, ha assunto la forma attuale. Anche in tempi recenti il sagrato esterno ha subito ulteriori rifacimenti.
Attualmente sull’altare vi si trova la tela (probabilmente settecentesca) raffigurante S. Pietro, di fattura non particolarmente pregevole, ritrovata nei depositi della chiesa parrocchiale, restaurata e ricollocata nel 2007. Nella chiesa vi è anche una statua del Santo in cartapesta, evidentemente realizzata ispirandosi alla tela suddetta.

La nota di maggiore interesse è rappresentata da una scritta. Sulla porta laterale, all’esterno, è collocata una epigrafe in volgare che recita:

Como lu lione et lo re dell animali cusì menerbino et lo re de li casali.
A.d. MCCCCLXXIII.

(che vuol dire: come il leone è il re degli animali, così Minervino è il re dei casali)

e, tra le chiavi e un castelletto, la scritta:

regnando re Ferdinando.

L’epigrafe, risalente al 1473 (e restaurata nel 2009), parrebbe far risalire la data di costruzione della chiesa a fine Quattrocento, anche se, vista la sua singolarità per una chiesa, e malgrado l’incisione delle chiavi tipiche del potere di Pietro, è probabile che fosse di un altro edificio e collocata qui in un rifacimento successivo della chiesa stessa.
Forse la scritta apparteneva ad un antico castello (ancora oggi la chiesa e la piazza sono sul proseguimento di via Castello). Ferdinando I d’Aragona, per fronteggiare le invasioni dei Turchi, fece costruire qui una fortezza, di cui oggi non resta traccia. L’ultima torre, a sostegno dello spigolo del castello, fu demolita verso la fine del 1800 nell’ampliamento della piazza, la quale deve essere appunto lo spazio un tempo occupato dal castello o da una sua parte.

Secondo alcuni, la prima fondazione della chiesa di San Pietro, antichissima, sarebbe da far risalire ad un leggendario passaggio dell’apostolo Pietro nelle terre salentine. L’ipotesi, remota, è tuttavia suggestiva, poiché la chiesa si trova esattamente allo sbocco di una strada, oggi secondaria, che congiunge Minervino ad Otranto, luogo dell’ipotetico sbarco dell’Apostolo, ove vi è la stupenda chiesa bizantina di San Pietro: le chiese attesterebbero quasi le tappe del suo passaggio. Su questa via, un tempo di grande comunicazione, si trova anche, a cinquecento metri di distanza, la chiesa di Santa Croce, dove fino a pochi anni fa si svolgeva una importante fiera agli inizi di luglio, e dove, in uno dei numerosi affreschi, appare anche l’apostolo Pietro.

L’Eucaristia si celebra il 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, e il 29 giugno con i tre giorni che precedono, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo.

CHIESA DELLA MADONNA ADDOLORATA

La cappella risale al 1788 ed è attualmente di proprietà privata. Le notizie a riguardo sono contenute nell’epigrafe posta al suo interno sulla porta d’ingresso, qui riportata anche in traduzione.

D.O.M.
PASCHALIS PICONESE PAROCHIALIS ECCLESIAE TERRAE HUIUS MINERVINI PRIMICERIUS
SUAE SUORUMQUE PIETATIS INCITAMENTO IN MARIAM VIRGINEM MATREM DOLORUM
NON SINE REGIS SCITO
AEDEM HANC EI AEDIFICANDAM
PERPETUOQE CULTUI RITE PROSPICIENDUM CURAVIT
ANNO A REPAR SALUTE
CIƆ IƆCC LXXXVIII

A DIO OTTIMO E MASSIMO
PASQUALE PICONESE, PRIMICERIO DELLA CHIESA PARROCCHIALE DI QUESTA TERRA DI MINERVINO
SPINTO DALLA PIETÀ, SUA E DEI SUOI FAMILIARI, VERSO MARIA VERGINE, MADRE DEI DOLORI
NON SENZA DECRETO REGIO
SI PRESE CURA DI EDIFICARE A LEI QUESTO TEMPIO E DI PROVVEDERE DEBITAMENTE
AD UN CULTO PERPETUO
ANNO DELLA REDENZIONE
1 7 88

L’unica nota di rilievo riguarda la tela posta sull’altare maggiore. La tela originale, opera di Oronzo Tiso, famoso pittore leccese (1726-1801), fu trafugata agli inizi del 1980 e mai più ritrovata. Insieme ad essa, furono trafugate anche le altre tele, presumibilmente dello stesso autore: sulla sinistra la tela di Cristo coronato di spine, sulla destra Cristo flagellato alla colonna. Stessa sorte è toccata anche alle tele alloggiate negli ovali accanto all’altare maggiore, raffiguranti angeli con strumenti della passione.
Il quadro attuale è una stampa su tela, qui collocata il 15 settembre 2015, realizzata tramite la riproduzione del bozzetto originale dello stesso Tiso, conservato nella Pinacoteca di Bari con il titolo Compianto di Cristo morto, dalle misure di cm 66×53.
La tela rappresenta la scena della reposizione: all’interno di una grotta, presumibilmente il sepolcro, Gesù morto è tra le braccia di Maria sua madre, con il sudario ai piedi; Maria Maddalena bacia la mano sinistra di Cristo. Alle sue spalle ci sono Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, poi più su le altre due Marie. La luce entra dall’imboccatura della grotta e si posa su guancia e collo della Vergine, sul corpo di Cristo e la faccia della Maddalena. Ai piedi del Signore, la corona di spine, i chiodi, le ampolle con gli unguenti, un piatto.

Da notare infine l’iscrizione posta all’esterno della chiesa, sopra la porta di ingresso:
QUI NON SI GODE ASILO

In questa cappella l’Eucaristia si celebra una volta all’anno, il venerdì che precede la Domenica delle Palme, giorno tradizionalmente dedicato alla Vergine Addolorata.