CHIESA PARROCCHIALE DI S. MICHELE ARCANGELO

Dedicata a S. Michele Arcangelo, è una delle più belle chiese rinascimentali del Salento.
Edificata intorno alla metà del 1500, le sue ampie dimensioni (relativamente al numero della popolazione) indicano propriamente il ruolo di una chiesa madre, pensata per raccogliere e tenere unita tutta la popolazione.
I probabili ideatori ed edificatori dell’edificio furono l’architetto Gabriele Riccardi di Lecce, e il suo allievo, lo scultore Giovanni Maria Tarantino di Nardò. Sarebbe proprio quest’opera a rappresentare l’occasione dell’incontro tra i due artisti.
I due, che parteciparono alla realizzazione della Basilica di S. Croce a Lecce, crearono un vero e proprio “capolavoro del Rinascimento nel Salento”. Al primo, si deve la costruzione dell’abside, al secondo quella della navata centrale.

NOTIZIE STORICHE

Una delle notizie più antiche risale al vescovo Serafino da Squillace, il quale nel 1486, dopo la distruzione di Otranto, andò ad ispezionare la chiesa e la trovò trascurata, per cui invitò il clero e il popolo ad interessarsi per ripulirla e decorarla.
Dagli atti della Visita pastorale del 1522 attingiamo notizie importanti. Il 12 ottobre l’Arcivescovo otrantino Fabrizio De Capua visitò la chiesa di Minervino intitolata a S. Michele Arcangelo, trovò tutto in ordine e ben conservato (il SS. Sacramento e gli oli santi erano debitamente custoditi in sacrestia). Sull’altare maggiore c’era l’immagine del Crocifisso.
Ma a partire dal 1538, la chiesa si era resa angusta e mal ridotta e così, durante la S. Visita del 23 febbraio 1540, l’Arcivescovo Pietro Antonio De Capua obbligò il clero e il popolo a restaurarla, imponendo di far sistemare il mal ridotto fonte battesimale in pietra, situato presso l’altare maggiore, e di far rimuovere due altari secondari appoggiati sui muri laterali, perché risultavano d’ingombro per la chiesa non vasta, altrimenti l’avrebbe fatta chiudere. Inoltre, essendo appoggiata alla chiesa una cappella dedicata a S. Rocco, ne fu ordinato l’assorbimento per dare un maggior respiro, creando così un altro braccio e dando quindi all’edificio l’attuale pianta a croce latina. I Minervinesi si misero all’opera e fino al 1573 lavorarono per ornare l’edificio e completare i restauri imposti nella S. Visita del 1540, tenendo in considerazione anche le critiche mosse all’arte ecclesiastica ritenuta troppo pagana: la chiesa, infatti, fino ad allora appariva come un edificio rettangolare con un solo rosone, un’unica entrata con due costoloni laterali ed era molto più simile ad un palazzo del ‘500 che non ad una chiesa. Ne risultò così uno splendido gioiello artistico, tra tardo rinascimento e protobarocco.
Successivamente, il nostro monumento subì, soprattutto all’interno, come moltissime chiese di tutto il Meridione, l’invadente sovrapposizione degli stucchi barocchi che, sfarzosi e prepotenti, si distesero a coprire anche ciò che era pura espressione di grazia ed eleganza. Avvenne così che, per oltre due secoli, dei pregi artistici della nostra chiesa non se ne parlò più, sino a perderne del tutto il ricordo.
A richiamarli alla luce valse la S. Visita compiuta dall’Arcivescovo Mons. Ridolfi il 1° gennaio 1913. Mentre si lamentava il cattivo stato degli stalli del coro, il segretario di quell’Arcivescovo, D. Giovanni Pauli, che aveva un amore spiccato per l’arte, notò che dietro i posteragli di legno si nascondevano delle colonne con dei rilievi in scultura di una delicatezza sorprendente; e poiché la chiesa era in procinto di essere restaurata, fu ordinato che si rimuovessero gli stalli logori e sgangherati. Da quella rimozione si ebbe una bella sorpresa: la zona inferiore dell’abside era tutta costituita da un susseguirsi continuo di nicchie e di colonne ornate di eleganti sculture; ma tutto era ridotto in cattive condizioni: i fusti delle colonne si presentavano trapassati da fori destinati a incassarvi le impalcature del coro, le volute dei capitelli erano orribilmente sfregiate, le delicate merlettature degli archi deturpate…
Ben presto si scoprì che tutta la chiesa era decorata in quel modo; sotto gli stucchi, da cui era ornato tutto l’interno, si trovarono dappertutto decorazioni in pietra dura locale. Su tale scoperta venne richiamata anche l’attenzione di autorità superiori, tra cui Corrado Ricci, l’autorità più competente del tempo, che fece un sopralluogo e dimostrò la sua ammirazione, promettendo che avrebbe fatto della chiesa un monumento nazionale. Ma purtroppo i tempi non erano ancora maturi: la prima guerra mondiale, e successivamente la seconda, misero da parte ogni progetto in merito. Fu necessario aspettare i tempi nuovi, quando, dopo tante distruzioni e rovine, si sentì la necessità di dare alla Patria un aspetto nuovo, e a questo proposito si decise anche di venire incontro agli edifici religiosi che avevano bisogno di restauro. Così si ottennero gli stanziamenti necessari da parte del Governo e si diede inizio ai restauri progettati. Attraverso un lavoro minuzioso e paziente durato diversi anni, fino alla fine degli anni ‘50, sotto la guida sapiente dell’ispettore ai monumenti della Puglia, Architetto Schettini, la chiesa matrice di Minervino di Lecce si è ricomposta nella sua elegante bellezza rinascimentale e protobarocca. Purtroppo, degli altari barocchi non è però rimasto più nulla.

ESTERNO

Attualmente l’esterno dell’edificio si presenta solenne e armonico nella disposizione degli elementi architettonici.
In esso, l’unica testimonianza dello stile barocco è il rosone che si trova sulla facciata principale. Esso è formato da diverse zone di sculture concentriche: un’ampia corona di foglie lanceolate avvolge il tutto; nella seconda fascia si ha una magnifica zona di fiori di acanto; nella terza fascia vi è un alternarsi di teste angeliche che reggono con la bocca pesanti festoni; infine, la quarta zona scolpita a foglie di acanto accoglie l’ampia vetrata. Al di sotto del rosone si può osservare il portale costituito da due colonne delicatamente scolpite nella parte inferiore con capitelli a cariatidi che sorreggono la bella trabeazione sormontata dal frontone. La facciata laterale in alto mostra originali mascheroni. La porta laterale è sormontata da una pregevole scultura in pietra dell’Arcangelo Michele. Inoltre, su tutto il prospetto esterno, sono visibili epigrafi antiche, ad esempio di nevicate avvenute fuori stagione nel corso dei secoli.

INTERNO

Nell’interno l’ordine toscano si sovrappone all’ordine corinzio secondo i canoni dell’architettura rinascimentale. La zona inferiore delle pareti dell’unica navata è ad arcate riccamente scolpite nei piedritti e negli archi. Tra arcata ed arcata vi sono delicate lesene sormontate da capitelli corinzi e da una sobria trabeazione. Al di sopra della seconda trabeazione si può ammirare la volta a botte con alla base le vele, che accolgono i finestroni, e con una geniale chiave di volta, costituita da un fascio di foglie lanceolate (come nella chiesa di S. Croce a Lecce) che all’incrocio si trasforma, con semplice eleganza, in un fascio di corolle ampiamente sbocciate e inscritte in altrettante losanghe. Seguono i due bracci della croce latina chiusi da absidi secondarie incorniciate da archi ben intonati all’insieme: il braccio di sinistra è dedicato al SS. Sacramento e quello di destra a S. Rocco (tale spazio, come si è detto, prima del 1573 era una cappella indipendente dedicata a S. Rocco; in alto vi si legge la scritta: Pulchrius ac olim constructus est Roche sacellum. Oramus sano maneat mens corpore sana); l’uno e l’altro accolgono in fondo un altare riccamente scolpito e, sui fianchi, altre inquadrature, una delle quali incornicia un affresco del tempo riproducente la Crocifissione: tale affresco, di fattura popolare (circa XVI secolo, restaurato nel 2006), ripropone la classica rappresentazione del Cristo nuovo Adamo, la cui croce è piantata sulla tomba del primo Adamo (il teschio con le ossa incrociate), ad indicare che il nuovo Adamo sconfigge dall’albero della croce la morte e il peccato, entrati nel mondo a causa del primo Adamo, che mangiò il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.
Ma la nota veramente superlativa di tutto l’edificio è l’abside principale a cinque, autentico gioiello di architettura e di scultura, anch’esso riecheggiante la basilica leccese di S. Croce. Risulta di due piani ben distinti e completi: il primo è costituito da una serie di nicchie incassate tra colonne corinzie aventi la parte inferiore coperta di intagli di rara perfezione per linea e per esecuzione, coronate da delicata trabeazione con magnifico fregio; il secondo piano invece è a specchi rettangolari e quadrati (due dei quali sono finestre, murate nel restauro degli anni ’50 ma ancora ben visibili dall’esterno) chiusi fra lesene dalla decorazione a spirale e sormontate da una seconda trabeazione. Da questa, in corrispondenza delle colonne e delle lesene sottostanti, spiccano il volo i sei arditi costoloni del catino concorrenti nella vistosa chiave dell’arco, su cui è presente la scritta “Parata sedes tua Deus quam decet sanctitudo in longitudinem dierum 1573”.
A completare il suggestivo effetto d’insieme dell’abside concorre l’ampio fornice che l’accoglie, come un gioiello in una teca, tra i solenni piedritti e il superbo arco trionfale. Sui fianchi del fornice si affacciano, a mo’ di piccoli balconi, due semplici cantorie dalla grazia tutta toscana.
La parte interna del rosone della facciata, rivestito di flessuose foglie di acanto, sta a provare ancora una volta la ricchezza di fantasia, il gusto geniale e la padronanza tecnica dell’artista.

Fra le statue presenti in chiesa, spicca quella della Madonna del Rosario: si tratta di un’opera lignea molto pregevole di fine ‘600, dello scultore napoletano Vincenzo Ayala: ridipinta più volte nel corso dei secoli, nel 2005 è stata restaurata e riportata al suo splendido stato originario. Da notare la bellezza degli abiti fioriti della Madonna e del Bambino, il grano del rosario fra le dita di entrambi, il drappo di sapore orientale al collo della Vergine. Vi sono inoltre: in legno, le statue di San Michele (sull’altare centrale) e di San Giuseppe; in cartapesta, del Crocifisso, di San Rocco e del S. Cuore di Gesù (quest’ultima del Guacci, datata 1920); in gesso, della Madonna di Lourdes. Infine, arricchiscono l’edificio due tele ad olio di Antonio Montefusco del secolo scorso: il Cenacolo e la Madonna del Rosario di Pompei. Vi è anche una terza maestosa tela dello stesso autore, la Pietà, del 1932, collocata nell’ufficio parrocchiale.

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Riferimenti bibliografici:

V. BOCCADAMO, Terra d’Otranto nel cinquecento. La visita pastorale dell’Arcidiocesi di Otranto del 1522, Congedo Editore, Galatina 1990.

G. CORRADO, Un capolavoro del Rinascimento nel Salento: la chiesa parrocchiale di Minervino di Lecce in “La Zagaglia” VI, 1964, pp. 293-300.

M. MANIERI ELIA, Barocco leccese, Electa, pp. 45-55.

G. PRESICCE (a cura), Alla ricerca delle nostre radici: Minervino di Lecce e dintorni. Esperienza scolastica degli alunni della Scuola Media G. Macchi di Minervino di Lecce 1992-93.

C. GELAO, Puglia rinascimentale, Jaka Book, Milano 2005, pp. 127-132.